Elena Grimaccia – Istat
È di pochi giorni fa la notizia di una madre di 45 anni e delle sue due figlie morte di fame a Vienna (ANSA, 23 maggio 2019). E risale a pochi mesi fa il richiamo del Special Rapporteur on extreme poverty and human rights alla Gran Bretagna: il numero delle persone che soffrono la fame è in aumento, nonostante le ampie risorse disponibili nel Paese (https://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=24636&LangID=E).
In generale, la povertà alimentare[1] è in aumento (anche nei paesi ricchi) e ci sono evidenze sul fatto che i suoi effetti sulla qualità della vita della popolazione possono durare molto al lungo, con conseguenze potenzialmente negative per il benessere mentale e sociale oltre che fisico (Baraniuk 2019), anche in assenza di effetti negativi misurabili sullo stato nutrizionale (Coates 2006).
Nell’ultimo rapporto disponibile “The state of food security and nutrition in the world”, la FAO sottolinea che il numero di persone denutrite (Number of Undernourished NoU) nel mondo è in aumento dal 2014, e ha raggiunto gli 821 milioni nel 2017, dopo un periodo di diminuzione che proseguiva da un decennio (FAO 2018). Chiaramente, la diffusione del fenomeno della povertà alimentare è molto maggiore in Africa, dove un quinto della popolazione è denutrito (Percentage of Undernourished PoU, anche questo in aumento) ed in Asia (11,4 per cento della popolazione) che nel resto del mondo (FAO 2018).
Tuttavia, la metodologia di misurazione non è ancora univoca. Una prima generazione di misure – come NoU e PoU – è basata sulla disponibilità di cibo a livello nazionale, mentre una seconda è basata su redditi e consumi familiari. Le misure dirette definiti “indicatori di terza generazione” di food insecurity, invece, sono in grado di misurare l’accesso al cibo e hanno lo scopo di rilevare l’esperienza del singolo intervistato (Barrett 2002). Gli indicatori basati sui dati a livello nazionale (quali NoU e PoU) riflettono prevalentemente il trend nella disponibilità dei prodotti alimentari, non quello nell’accesso al cibo, che è il vero target da monitorare nella nuova Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Inoltre, queste misure non consentono di dettagliare l’analisi per caratteristiche personali economiche e sociali. Gli indicatori NoU e PoU, infine, non permettono di fornire una misura per i paesi ricchi ma vengono stimati solo per i paesi in via di sviluppo. Tali indicatori, pertanto, non rispondono al requisito dell’universalità.
In questo contesto, la FAO ha sviluppato un innovativo strumento di misura per l’insicurezza alimentare: la Food Insecurity Experience Scale (FIES). La FIES consente di rilevare direttamente – per ciascun individuo – il numero di eventi di insicurezza alimentare sperimentati dal rispondente. La FIES indaga i comportamenti e le esperienze relative al cibo, cogliendone le difficoltà nell’accesso anche in termini di ansia e preoccupazione. Ogni voce si riferisce ad una situazione diversa ed è associata ad un livello di gravità crescente, secondo la struttura teorica di insicurezza alimentare alla base della scala: dalla preoccupazione per l’accesso al cibo, alla disponibilità di cibo sia in termini quantitativi che di qualità (Ballard et al. 2013).
La FIES si basa su un breve questionario (otto domande adattate linguisticamente e culturalmente) rivolto a individui con più di 15 anni. Le categorie di risposta sono solo “Sì” o “No” e considerano un periodo di riferimento di 12 mesi, scelto per garantire la comparabilità delle rilevazioni condotte in diversi mesi dell’anno che risentono della stagionalità (FAO 2016).
Nel 2014, per la prima volta, l’insicurezza alimentare è stata rilevata tramite la FIES in 147 paesi in tutto il mondo con uno stesso strumento costruito appositamente per essere confrontabile a livello mondiale.
La possibilità di analisi dei dati a livello micro consente di collegare il fenomeno a caratteristiche economiche e sociali degli individui e delle famiglie, che forniscono indicazioni di policy molto interessanti per gli studiosi e utili per disegnare interventi più mirati a particolari strati della popolazione maggiormente interessati dal fenomeno (Grimaccia and Naccarato 2018).
La nuova misura di food insecurity della FAO ci consente innanzitutto di confermare la cattiva notizia: anche nei Paesi più ricchi c’è chi soffre la fame. Si tratta dell’1,4 per cento della popolazione in Nord America e in Europa, secondo i dati FAO riferiti alla grave insicurezza alimentare nel 2017 (FAO 2018). L’incidenza è in aumento di due punti percentuali rispetto all’anno precedente, per un totale di più di 15 milioni di persone.
Considerando, inoltre, un qualsiasi evento di insicurezza alimentare misurato dalla FIES – sia solo percepito in termini di preoccupazioni o valutazioni personali sulla qualità del cibo assunto sia in termini di esperienze vissute come rimanere senza mangiare perché senza soldi o altre risorse per acquisire il cibo -, il fenomeno coinvolge quasi un quarto della popolazione europea. Più donne che uomini. Più tra i poveri (ma non solo) e maggiormente tra le persone meno istruite.
La FIES viene già utilizzata per monitorare l’obiettivo 2 dei Sustainable Development Goals attraverso l’indicatore 2.1.2: Prevalence of moderate or severe food insecurity in the population, based on the Food Insecurity Experience Scale (FIES). È uno strumento rapido e a basso costo, che consentirebbe interventi tempestivi. FIES risulta uno strumento valido per guidare politiche e programmi mirati a livello nazionale (Grimaccia et al 2018) e andrebbe sfruttato per arginare la recrudescenza di un fenomeno, la denutrizione, che pensavamo debellato in Europa e per evitare fatti come quelli di Vienna.
Bibliografia
Andersen S.A. (a cura di) (1990) “Core Indicators of Nutritional State for Difficult to Sample Populations,” The Journal of Nutrition 120, 1990.
Ballard, T. J., Kepple, A. W., & Cafiero, C. (2013). The food insecurity experience scale: Development of a global standard for monitoring hunger worldwide, Technical paper. Rome: FAO
Baraniuk C. (2019) How going hungry affects children for their whole lives. Mosaic Science.
Barrett C. (2002). Food security and food assistance programs. In: BL Garner, GC Rausser, editors. Handbook of agricultural economics. Amsterdam: Elsevier Science.
Coates J., Frongillo E. A, Beatrice R. Lorge, Webb P., Wilde P. E., Houser R. (2006). Commonalities in the Experience of Household Food Insecurity across Cultures: What Are Measures Missing? Journal of Nutrition 136: 1438S–1448S, 2006.
FAO, IFAD, UNICEF, WFP and WHO (2018) The State of Food Security and Nutrition in the World 2018. Building climate resilience for food security and nutrition. Rome, FAO.
FAO (2016). Methods for estimating comparable rates of food insecurity experienced by adults throughout the world. Rome, FAO
Grimaccia E. & Naccarato A. (2018) “Food Insecurity Individual Experience: A Comparison of Economic and Social Characteristics of the Most Vulnerable Groups in the World” published on Social Indicator Research, https://doi.org/10.1007/s11205-018-1975-3
Grimaccia E., Maggino F., and Naccarato A. (2018) Validazione di una scala di insicurezza alimentare tramite modelli ad equazioni simultanee, in Libro dei Contributi Brevi AIQUAV 2018 Fiesole (FI), 13-15 Dicembre 2018
World Food Summit (1996), Rome Declaration on World Food Security, 13-17 November 1996. FAO, Rome Italy.
[1] Si ha sicurezza alimentare quando “tutti, in ogni momento, hanno accesso fisico ed economico a cibo sano e nutriente, sufficiente a soddisfare le loro esigenze dietetiche e preferenze alimentari per una vita sana e attiva” (World Food Summit 1996). Qui parliamo di insicurezza (o povertà) alimentare nel senso di “disponibilità limitata o incerta di alimenti nutrizionalmente adeguati e sicuri o di acquistare alimenti in modi socialmente accettabili” (Andersen 1990).