Dr. Rodolfo Metulini, University of Brescia, Italy, Big & Open Data Innovation Laboratory (BODaI-Lab)
Il processo di produzione di beni di consumo richiede grandi quantità d’acqua a livello mondiale. A tal riguardo, l’acqua utilizzata lungo tale processo prende il nome di acqua virtuale, termine originariamente proposto da Allan (1998). Quando i beni vengono commerciati avviene un implicito spostamento di acqua richiesta per la loro produzione, generando così i cosiddetti flussi di acqua virtuale (FAV). I FAV dovuti all’ import/export sono stati stimati essere pari a 2.320 metri cubi per anno (m3/y), ovvero quasi il 25% dell’acqua consumata globalmente dalla società[1]. Tali flussi possono contribuire alla sicurezza alimentare consentendo ai paesi con scarsa disponibilità d’acqua di beneficiare delle risorse idriche disponibili altrove e di soddisfare le esigenze di una popolazione in crescita. I FAV generano anche una riduzione degli impatti ambientali, a seguito di un risparmio idrico a livello globale dovuto alla possibilità di produrre beni laddove il livello di efficienza nell’uso dell’acqua è maggiore.
Le migrazioni sono diventate un fenomeno di assoluta rilevanza in materia di politica ed economia internazionale, soprattutto alla luce della recente crisi idrica nel Medio Oriente, la quale ha generato una grossa impennata dei flussi migratori. Come la migrazione impatta sul commercio di acqua virtuale e come ciò si interconnette con la questione della scarsità idrica, è ancora un tema per lo più inesplorato. I migranti rafforzano i legami commerciali tra paese di origine e di destinazione per via delle comunità di migranti all’estero (Rauch, 2001). E’ ragionevole assumere che una delle cause di ciò sia la persistenza di abitudini alimentari del migrante al di fuori del paese di origine unito all’aumento della ricchezza del migrante stesso nel paese di destinazione.
Metulini et al. (2016) hanno misurato l’impatto dei migranti sul commercio di acqua virtuale e i conseguenti effetti sulla scarsità d’acqua, chiedendosi se i migranti portino benefici o siano dannosi per la disponibilità idrica locale. L’ipotesi sottostante è che il fenomeno migratorio provochi una riallocazione nell’uso di acqua precedentemente rivolto alla produzione di cibi consumati localmente verso un utilizzo destinato all’esportazione: da un lato, il migrante, lasciando il suo paese, riduce il consumo di acqua in madrepatria alleviando la pressione idrica di quel paese. D’altro canto, quel migrante richiederà cibi di importazione, aumentando l’uso di acqua per la produzione destinata all’esportazione con un effetto negativo sulla pressione idrica dello stesso paese. A tale scopo, è stato quantificato, tramite modello gravitazionale[2] e appropriati modelli di regressione, l’utilizzo pro-capite di FAV innescato dai migranti, che chiameremo valigia. Questa misura rappresenta il volume d’acqua che un migrante aggiuntivo porta dalla madrepatria al paese di destinazione in seguito ai flussi commerciali dovuti alle comunità di migranti all’estero.
E’ stato stimato che, globalmente, la valigia aumenta da 233 m3/y pro-capite nel 1990 a 1367 m3/y nel 2010. Inoltre è stata quantificata la valigia specifica per ciascun paese di origine del migrante (figura 1.a): le persone che hanno lasciato il Nord-America e l’Europa hanno una valigia più grande, probabilmente per via delle condizioni socioeconomiche più avanzate. Al contrario, persone provenienti dalla maggior parte dei paesi asiatici e africani hanno una valigia molto più piccola. Inoltre, i paesi che già avevano grandi valigie nel 1990 (Nord America e Europa) hanno aumentato ulteriormente la valigia (figura 1.b). Le economie emergenti sono quelle che mostrano un aumento molto elevato della valigia dal 1990 al 2010. Esempi includono Cina, Brasile e Argentina. In supporto ai risultati appena citati, la valigia è stata confrontata con l’impronta idrica pro-capite (l’acqua “incorporata” in beni prodotti localmente) dei paesi d’origine. Scopriamo così che l’impatto sulla disponibilità locale d’acqua associato alla migrazione varia da paese a paese: in alcuni paesi sviluppati, infatti, la valigia dei migranti è più grande dell’impronta (figura 2), il che significa che il commercio indotto dal fenomeno migratorio produce un effetto dannoso sulle risorse idriche del paese stesso.
Le politiche governative potrebbero svolgere un ruolo fondamentale nel mitigare gli effetti negativi della migrazione sulle risorse idriche. Ad esempio, si potrebbe pensare di adottare meccanismi di monitoraggio sulle esportazioni di quei prodotti ad alta intensità di acqua al fine di prevenire l’esaurimento delle risorse. Inoltre, i paesi coinvolti potrebbero iniziare ad attuare politiche che mirino a ridurre l’impronta idrica della produzione alimentare nei loro paesi d’origine tramite la crescita di know-how tecnologico dei migranti di ritorno, consentendo un maggiore trasferimento tecnologico e di metodi di produzione verso i paesi di origine dei migranti. Tali azioni possono contribuire in futuro a ridurre l’impronta idrica della produzione nazionale.
- Allan JA. Virtual water: A strategic resource global solutions to regional deficits. 1998; 36(4):545–546.
- Rauch JE. Business and social networks in international trade. Journal of economic literature. 2001;p. 1177–1203.
- Metulini R, Tamea S, Laio F, Riccaboni M (2016) The Water Suitcase of Migrants: Assessing Virtual Water Fluxes Associated to Human Migration. PLoS ONE 11(4).
Figura 1. Mappa mondiale della valigia d’acqua.
(a) valigia d’acqua per paese di origine del migrante nel 2010 e (b) variazione delle valigie tra il 1990 e il 2010; Le valigie e le variazioni sono misurate in m3/y pro-capite (da: Metulini et al. (2016)).
Figura 2. Mappa mondiale del rapporto tra valigia d’acqua e impronta idrica.
La percentuale quantifica benefici nella pressione idrica (in blu) o perdite (in rosso) in ciascun
paese, per il decennio 2010 (da: Metulini et al. (2016))
[1] Hoekstra AY, Mekonnen MM. The water footprint of humanity. PNAS. 2012; 109(9):3232–3237.
[2] Anderson, J. E. (1979). A theoretical foundation for the gravity equation. The American Economic Review, 69(1), 106-116.