OCCUPAZIONE E DISOCCUPAZIONE DA SETTEMBRE 2022 A SETTEMBRE 2023

di Sergio Brasini e Giorgio Tassinari, Dipartimento di Scienze statistiche “Paolo Fortunati”,
Università di Bologna

La recente pubblicazione dei dati sul mercato del lavoro riferiti al terzo trimestre 2023 da parte
dell’Istituto Nazionale di Statistica (Istat 2023a) consente di effettuare una comparazione con la
situazione del terzo trimestre 2022 e ci stimola a trarre un bilancio degli effetti delle politiche
attuate dal Governo in carica.
Siamo del tutto consapevoli della necessità di non cadere nella trappola del post hoc ergo propter
hoc. L’ultimo anno è stato contrassegnato da eventi con ripercussioni notevolissime sul piano
politico-economico a scala mondiale, che hanno avuto sul mercato del lavoro italiano un impatto
altrettanto forte rispetto a quello che possa essere stato generato dalle specifiche politiche del
lavoro messe in atto dal Governo Meloni. Ed inoltre occorre sempre tenere a mente che tra
l’intervallo temporale in cui un provvedimento di politica economica viene reso operativo e
l’intervallo temporale in cui inizia ad avere effetti c’è sempre un certo lag.
Il quadro comparativo d’assieme è il seguente (Tavola 1).
Tavola 1 – Occupati, disoccupati e inattivi per sesso, settembre 2023 e settembre 2022 (in migliaia
di unità).

Due elementi appaiono notevoli: l’incremento dell’occupazione e la diminuzione del numero dei
disoccupati e degli inattivi. Più specificamente, il tasso di disoccupazione scende al 7,4% (ma a
livello di UE20 è ancora più basso, 6,4%).
Per rappresentare sinteticamente l’effetto dei fattori macroeconomici (nazionali e soprattutto
internazionali) sul mercato del lavoro, in questa sede pensiamo sia sufficiente far riferimento al
tasso di variazione del PIL a prezzi costanti; la variazione tendenziale (ovvero tra settembre 2022 e
settembre 2023) è stata dello 0,00% (Istat 2023b).
Ci troviamo dunque in una situazione assai peculiare. Negli ultimi 12 mesi il numero assoluto di
occupati è aumentato di poco più di 500mila unità a fronte di una stagnazione della produzione
lorda (il Pil appunto). E’ necessario quindi approfondire l’analisi considerando altre dimensioni
qualitative dell’occupazione (Tavola 2).

Tavola 2 – Occupati secondo il tipo di occupazione, settembre 2023 (in migliaia di unità), e
variazioni tendenziali assolute

E’ evidente che il contributo maggiore alla crescita dell’occupazione sia riconducibile ai dipendenti
permanenti; non irrilevante è anche il contributo degli occupati indipendenti.
Questa immagine di irrobustimento della struttura occupazionale (diminuiscono i precari) è in
parte messa in discussione dall’esame della struttura occupazionale per classi di età (non
riportiamo i dati analitici per brevità). Quasi il 40% degli occupati afferisce alla classe di età sopra i
50 anni e la variazione tendenziale dell’occupazione per questa classe di età (+562mila unità) è
addirittura maggiore della variazione riferita a tutte le forze di lavoro. Si ravvisano quindi profondi
elementi di debolezza nella struttura dell’occupazione, che impattano in modo assai incisivo sulla
performance del sistema Italia.
In primo luogo va tenuto presente che, come messo in luce da diversi studi (Liotti 2020; Tassinari e
Maccarone, 2020; Castellano et al., 2017) gli occupati dipendenti a termine sono in larga misura
addetti a jobs a bassa produttività, nonché con scarse protezioni sindacali (l’indice OECD che
misura il grado di protezione dei lavoratori è passato da 3,02 nel 2010 a 2,56 nel 2019; OECD,
2023). La quota dei lavoratori a termine sul totale dei dipendenti in Italia è superiore a quella
dell’Unione Europea a 20, ovvero il 16,9% nel 2022 contro il 15,3%.
Anche la larga diffusione del lavoro indipendente contribuisce alla bassa produttività del sistema.
Vi sono, come è noto, all’interno di questo aggregato molti lavoratori autonomi, coadiuvanti
familiari e imprenditori a capo di piccolissime imprese.
Tutto questo si traduce in una crescita della produttività generica del lavoro assai più bassa della
media europea, come si evince dalla Tavola 3.
Tavola 3 – PIL a prezzi costanti 2010 nell’Unione Europea e in alcuni paesi scelti, 2013-2022,
miliardi di euro.

In un quadro complessivo non propriamente esaltante, il nostro Paese si distingue quindi assai
negativamente. Tra le diverse conseguenze di questi problemi strutturali vi sono anche la
stagnazione salariale, l’incremento della disuguaglianza economica e sociale e l’aumento della
diffusione della povertà, tutti fenomeni ben documentati dalle statistiche ufficiali.
Ci troviamo quindi in una specie di trappola della povertà, o meglio in un equilibrio di bassa
intensità.
Situazione ricorrente nella nostra storia, purtroppo, come ricorda Giorgio Fuà (1980). Quasi una
legge dell’eterno ritorno, con l’eccezione del boom economico. Nella filosofia di Nietzsche l’eterno
ritorno è spezzato dall’avvento dell’oltreuomo; nella storia italiana dall’inizio del ‘900, dal governo
Zanardelli in avanti, con diversi accenti, forme e direzioni, questo ruolo è stato sostenuto
dall’intervento dello Stato in economia. Ora questo intervento ha preso la forma del PNRR, con
esiti invero ancora assai incerti.

Riferimenti bibliografici
Castellano, R., Musella, G. e Punzo, G. (2017), Structure of the labour market and wage
inequalities: evidence from European countries, “Quality and Quantity”, 51, 2191-2218.
Eurostat (2023), Eurostat Data Browser, estrazione del 19/11/2023
Fuà, G. (1980), Problemi dello sviluppo tardivo in Europa: Rapporto su sei paesi appartenenti
all’OCSE, Bologna, Il Mulino.
Istat (2023a), Statistiche Flash, Occupati e disoccupati, 3 novembre 2023
Istat (2023b), Nota mensile sull’andamento dell’economia italiana, 10 ottobre 2023
Liotti, G. (2020), Labour market flexibility, economic crisis and youth employment in Italy,
“Structural Change and Economic Dynamics”, 54, 150-162.
OECD (2023),
https://www.oecd.org/employment/emp/oecdindicatorsofemploymentprotection.htm
Tassinari, A. e Maccarone, V. (2020), Riders on the storm: Workplace solidarity among gig
economy couriers in Italy and the UK, “Work, employment and society”, 34, (1), 35-54.

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