Alessia Naccarato, Dipartimento di Economia, Università Roma Tre, Roma
Federico Benassi, Istituto Nazionale di Statistica, Istat, Roma
Il fenomeno del giovane che lascia la famiglia di origine è argomento molto dibattuto sia in ambito accademico che politico-mediatico. In Italia si è profondamente modificato nel tempo in termini di modalità, intensità e distribuzione geografica.
Sul tema le differenze tra i giovani ‘italiani’ ed i loro coetanei europei sono piuttosto marcate. Nel 2016, la percentuale di giovani di 18-34 anni che vivono con i genitori è pari per l’Italia all’83.2% contro un valore dell’UE a 28 paesi di 65,7%. La distanza diviene ragguardevole se riferita ai soli paesi dell’Europa centro-settentrionale: Danimarca (35.9%), Germania (62.6%), Paesi Bassi (54.3%), Svezia (41.1%), Norvegia (38.1%), mentre si riduce nel confronto con i paesi dell’Europa meridionale: Spagna, Grecia e Portogallo registrano valori rispettivamente pari a 81.0%, 81.1% e 80.7%[1].
La scelta dei giovani di vivere da soli è uno dei possibili modi con i quali essi lasciano la famiglia di origine e l’analisi di come questo fenomeno si manifesta territorialmente, può fornire spunti di riflessione sulla condizione giovanile e sui mutamenti che sono intervenuti nella società.
A tal proposito faremo riferimento ad un indicatore prodotto dall’Istat, definito come il rapporto percentuale tra il numero di famiglie unipersonali (senza coabitanti) costituite da una persona giovane (con meno di 35 anni) e il totale della popolazione in età da 15 a 34 anni, nelle ultime tre occasioni censuarie e secondo diverse scale territoriali di analisi.
A livello Italia, nel 1991 i giovani che vivevano da soli erano appena il 3% mentre nel 2011 tale quota raggiunge il 7%, con una variazione di oltre il 4%. La dinamica di crescita ha interessato tutte le regioni e in modo particolare quelle poste nelle zone economicamente più dinamiche del paese, che hanno registrato una variazione dell’indicatore rispetto al 1991 maggiore di quella nazionale, a cui si associano Sardegna (+4.5%) e Calabria (+4.4%) (Figura 1).
Figura 1 – Giovani che vivono da soli. Variazioni 1991-2011 delle incidenze percentuali. Regioni italiane e Italia |
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat, Censimenti della popolazione 1991, 2001 e 2011 (portale 8mila census)
La diffusione del fenomeno sul territorio appare ancor più chiara se si osserva la sua distribuzione su scala comunale[2]. Nel 1991 i comuni che registrano i valori più elevati dell’indicatore sono comparativamente pochi e concentrati in alcune aree di confine lungo il versante Nord occidentale, in Liguria, lungo la dorsale appenninica e in alcune aree della Sardegna orientale. Dalla successiva occasione censuaria, il fenomeno è in crescita e si diffonde dalle zone del Nord Ovest verso il Nord Est ed il Centro Italia; nel 2011 il fenomeno è diffuso su tutto il territorio nazionale (Figura 2).
Figura 2 – Giovani che vivono da soli. Incidenze percentuali. Comuni italiani, 1991, 2001 e 2011
1991 | 2001 | 2011 |
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat, Censimenti della popolazione 1991, 2001 e 2011 (portale 8mila census)
Ci siamo chiesti quali fattori possano aver contribuito alla diffusione del fenomeno. A tal proposito si è stimato un sistema di tre equazioni simultanee (una per ogni anno di censimento) per le 110 province italiane in cui si pone in relazione l’incidenza di giovani che vivono da soli, con il tasso di disoccupazione giovanile e con l’incidenza dei giovani con istruzione universitaria. Due variabili chiave nella definizione della condizione giovanile che possono essere viste, rispettivamente, come fattore di attrito o spinta verso una maggiore indipendenza dei giovani.
Nelle prime due equazioni il tasso di disoccupazione presenta un coefficiente significativo di segno negativo (−0.017; −0.026 rispettivamente nel 1991 e nel 2001), mentre esso risulta positivo per il 2011 (0.032). Questo primo risultato indica che tra il 1991 ed il 2001, l’aumentare del tasso di disoccupazione agisce come deterrente sulla decisione di andare a vivere da soli. Al contrario, nel 2011 il coefficiente è positivo, e dunque nonostante l’aumento del tasso di disoccupazione, aumenta la quota di giovani che vanno a vivere da soli. E’ ragionevole dedurre che ciò sia ascrivibile, almeno in parte, al modificarsi del costume o a spostamenti dovuti alla ricerca di un occupazione o per lavoro stesso.
Il coefficiente stimato per l’incidenza dei giovani laureati risulta sempre positivo (0.157; 0.097; 0.081 rispettivamente nel 1991, nel 2001 e nel 2011) e segnala probabilmente come il completamento degli studi venga considerato come un passaggio preliminare verso una maggiore indipendenza.
Nelle equazioni del 2001 e del 2011 si è considerato anche l’effetto dell’incidenza di giovani che vivono da soli registrata nelle precedenti occasioni censuarie, per verificare l’ipotesi che la maggiore o minore intensità del fenomeno produca effetti a distanza di dieci anni. I coefficienti sono risultati significativi e positivi (1.236; 0.983 rispettivamente nel 2001 e nel 2011), dunque il fenomeno manifesta una dipendenza nel tempo sia sotto forma di “contagio culturale”, sia come “accumulo” da un censimento all’altro a causa del perdurare delle difficili condizioni economiche.
[1] Share of young adults aged 18-34 living with their parents by age and sex – EU-SILC survey. Eurostat, http://ec.europa.eu/eurostat/web/products-datasets/-/ilc_lvps08
[2] Le geografie delle diverse unità territoriali sono ricostruite con riferimento al 2011 per consentire confronti coerenti nel tempo.