Gian Carlo Blangiardo
La storia insegna che l’immigrazione non è di per sé una realtà malefica né sublime: è il risultato di un processo che si manifesta fisiologicamente, con toni più o meno intensi, in una popolazione aperta. E’ la conseguenza di scelte operate da persone che, a fronte delle difficoltà nel continuare a vivere entro il contesto in cui sono nate e/o cresciute, decidono di inseguire altrove la legittima aspirazione a una vita migliore. Per sé e per i propri cari. Portando al seguito un bagaglio che contiene il proprio vissuto – esperienze, abitudini, lingua, cultura, religione – si arriva nel Paese d’approdo sia perché si fugge da drammi umanitari, da guerre o semplicemente dalla miseria, sia perché talvolta “quel Paese” risulta particolarmente appetibile e attrattivo: per opportunità lavorative, per l’esistenza di reti etniche e familiari, per il tessuto sociale e umano che presenta.
Ma che conseguenze ha tutto questo per il popolo presso cui un flusso migratorio si indirizza? Se facciamo riferimento all’Italia, quando oggi parliamo di immigrati chiamiamo in causa circa 6 milioni di individui, più del totale degli abitanti di una grande regione come la Campania. Ci confrontiamo con una realtà tanto rilevante quanto ancora relativamente recente. Un fenomeno alimentato da persone che sono arrivate in modo massiccio dalla seconda metà degli anni 90 e si sono distribuite sul territorio senza tuttavia provocare significativi sconvolgimenti, anche laddove gli spazi erano già densamente popolati e talune problematiche – si pensi al tema della casa – erano già fonte di tensione nella comunità autoctona. Il primo dato che emerge è pertanto la presa d’atto di una lodevole capacità del nostro Paese nell’acquisire ingenti flussi di persone “altre” e nel saper dar loro una collocazione, normalmente dignitosa, dal punto di vista abitativo, familiare e lavorativo. Quella degli immigrati è dunque una presenza rivoluzionaria che non ha generato rivoluzioni. Volendo alimentare il dibattito sul contributo che l’immigrazione ha offerto e offre al sistema Italia possiamo soffermarci su un paio di considerazioni a sfondo statistico. La prima è che in un Paese dove nel 2015 si è toccato il minor numero assoluto di nascite dai tempi dell’Unità Nazionale (488 mila), l’apporto dei figli delle coppie straniere va certamente visto come salutare, ma va anche subito aggiunto che è del tutto illusorio credere – e far credere – che gli immigrati possano sostanzialmente colmare le nostre culle vuote. E’ vero che il qualche migliaio di nati stranieri di inizio anni ’90 si è progressivamente accresciuto sino a 80mila nel 2012, ma poi la frequenza è scesa a 78mila nel 2013, a 75 mila nel 2014 e le stime per il 2015 dicono 63mila (Istat, 2016). Di fatto, anche le donne immigrate, che ormai si caratterizzano per una fecondità media inferiore ai due figli, hanno imparato che essere genitori non è un compito facile, né facilitato. Un secondo elemento di riflessione riguarda un certo luogo comune secondo cui solo grazie agli immigrati, giovani e lavoratori, si può risolvere il problema delle pensioni e degli equilibri del sistema sanitario. E anche in questo caso è bene ricondurre l’affermazione entro i dovuti confini. Infatti, se non c’è dubbio che arrivano, e sono arrivati, forti contingenti di giovani che rallentano – seppur non arrestano – la crescita del rapporto tra numero di pensionati e popolazione attiva, è anche vero che in un prossimo futuro questi stessi giovani saranno vecchi; e allora in aggiunta all’invecchiamento prodotto da chi è nato in Italia – si pensi al milione di figli del baby boom degli anni ’60 che attorno al 2030 diverranno over 65 – avremo centinaia di migliaia di persone (si stima saranno circa 200mila casi annui a partire dal 2030) che senza essere nate nel nostro Pese invecchieranno qui: «anziani aggiunti» in un Paese di anziani. Il vero contributo dell’attuale immigrazione (ancora) giovane è dunque – a meno di ipotizzare flussi via via crescenti e sostanzialmente ingestibili – solo quello di regalarci un po’ di tempo in più per tentare di mettere a punto i necessari adattamenti del sistema di welfare. (Blangiardo, 2014). In conclusione, per sostenere l’utilità dell’immigrazione nella società italiana, non è opportuno insistere in una lettura dei dati statistici che rischia di essere approssimata e scorretta, quando non strumentale. Conviene semmai mettere l’accento su quello che è il vero tesoro al seguito dell’immigrazione: l’aspetto culturale-relazionale. Da sempre l’umanità evolve trasferendo e ricevendo esperienze di natura diversa, ed è tradizionale regola dell’uomo quella di apprendere, filtrare e valorizzare il meglio delle diversità che ha incontrato. Stiamo imparando a conoscere l’altro, e l’altro sta imparando a conoscere noi e il nostro Paese. È un processo che appare inevitabile e che va pienamente affrontato e governato. Perché se oggi sono i profughi dalla Siria ad alimentare un dramma che sembra epocale – benché i numeri in campo sarebbero agevolmente assimilabili entro una logica di accoglienza europea – non dimentichiamoci che dietro l’angolo c’è un’Africa subsahariana in cui la crescita della popolazione è stimata in oltre mezzo miliardo nel prossimo ventennio (United Nations, 2015). Una dinamica tumultuosa che sarà alimentata per lo più da generazioni di giovani, molti dei quali vorranno costruire il loro futuro scegliendo la via di fuga dell’emigrazione, spesso proprio nella vicina Europa. Dobbiamo allora prepararci a un fenomeno che sarà sempre più esplosivo e pericoloso da governare se ci coglierà impreparati o spaventati. Dobbiamo affrontarlo con disponibilità, ma anche con buonsenso e con quella consapevolezza che deriva da una corretta conoscenza, anche su base statistica, delle dinamiche in atto e delle problematiche che ad esse si accompagnano.
Riferimenti bibliografici
Blangiardo G.C. (2014), Gli aspetti statistici, in: Fondazione Ismu, Ventesino Rapporto sulle Migrazioni, Franco Angeli, Milano.
Istat (2016), Indicatori demografici. Anno 2015, www.istat.it
United Nations (2015), World Population Prospects. The 2015 Revision, http://esa.un.org/unpd/wpp/