Carlo Palmiero[1]
In questi ultimi anni si è acceso un dibattito molto interessante sulle competenze digitali delle giovani generazioni e, soprattutto, sul ruolo che la scuola debba e possa avere per promuoverle ed evitare o contenere il cosiddetto digital divide.
Le ICT hanno hanno modificato diversi aspetti nella vita dei cittadini. La disponibilità di tecnologie a costi accessibili ha cambiato profondamente gli scenari futuri, imponendo una rivisitazione radicale delle categorie interpretative, valide fino a pochi anni fa, per analizzare e comprendere le principali dinamiche evolutive del mondo in cui viviamo. Naturalmente cambiamenti così profondi hanno coinvolto anche la scuola e il modo in cui si oggi si producono gli apprendimenti. Nell’agenda di tutti i governi ha acquisito un’importanza crescente il tema se e in quale misura la scuola sia in grado o meno di fornire alle nuove generazioni competenze adeguate per agire positivamente in una società permeata profondamente dall’uso delle ICT. A ben vedere, il problema è tutt’altro che semplice e richiede una conoscenza profonda, anche statistica, del fenomeno che vada al di là di valutazioni superficiali e aneddotiche. Spesso si pensa che la semplice introduzione di tecnologia a scuola possa essere la soluzione a tutti i problemi. Purtroppo il problema non è affatto così semplice e richiede una conoscenza approfondita del fenomeno che necessariamente passa attraverso l’analisi statistica di dati raccolti appositamente.
Anche se in Italia non hanno avuto molto risonanza, l’OCSE ha promosso indagini su questo tema e anche le scuole italiane vi hanno partecipato (Palmiero, 2016). In particolare, la ricerca OCSE-PISA[2] presenta diversi elementi di sorpresa e induce a riflettere su come facili ricette non siano in grado di affrontare positivamente il tema dell’introduzione delle tecnologie a scuola e dell’impatto che queste possono avere sugli apprendimenti (AA.VV., 2015). I primi risultati della ricerca OCSE-PISA non ci restituiscono affatto un quadro semplice e, per certi versi, confortante. Questo non deve portare a pensare che la strada intrapresa sia sbagliata, ma semplicemente deve sollecitare la riflessione sul fatto che l’introduzione di tecnologia a scuola è solo un prerequisito, una condizione necessaria, anche se non sufficiente. Per certi versi, i risultati proposti dal PISA suggeriscono che esiste un legame profondo tra competenze tradizionali e le cosiddette competenze digitali, come del resto messo in luce anche da altri studi condotti in questo ambito di ricerca (Palmiero, 2015). A ben vedere, i risultati che emergono nelle ricerche internazionali, realizzate su basi statistiche solide, sembrano suggerire che anche per lo sviluppo delle competenze digitali la scuola debba cercare di tenere sotto controllo i fattori che da sempre sfavoriscono gli apprendimenti, principalmente legati, da un lato, all’ambiente da cui gli studenti provengono e, dall’altro, a metodi didattici inadeguati. La storia recente ci insegna che la tecnologia può essere un motore di cambiamento ancora più forte delle grandi ideologie e proprio per questo la scuola può e deve svolgere un ruolo centrale. Se si desidera che le competenze digitali si traducano realmente in competenze attive di cittadinanza è necessario affrontare il problema della loro promozione a scuola in modo rigoroso e scientifico, tenendo conto che esse hanno potenziali positivi enormi, ma che possono anche tradursi in strumenti che più o meno volutamente favoriscono l’acuirsi di divari, spesso resi poco visibili da un accesso generalizzato, ma povero di contenuti, alle tecnologie più moderne è più utilizzate nella vita di tutti i giorni.
Bibliografia
AA.VV. (2015), Students, Computers, and Learning, OECD.
Palmiero C. (2015), La ricerca International Computer and Information Literacy Study: un’opportunità per l’Italia, Induzioni, 50, 37-53.
Palmiero C. (2016), Computer e apprendimenti: una questione aperta, Induzioni, 51, 10-17.
[1] Esperto di implementazione di tecnologie nel settore scolastico – INVALSI. Le opinioni espresse sono da attribuirsi all’autore e non impegnano la responsabilità dell’INVALSI.
[2] Programme for International Student Assessment.