Salari e inflazione nel biennio della pandemia e oltre

Demetrio Panarello, Dipartimento di Scienze statistiche “Paolo Fortunati”, Università di Bologna

Giorgio Tassinari, Dipartimento di Scienze statistiche “Paolo Fortunati”, Università di Bologna

Le conseguenze economiche e sociali della pandemia COVID-19 sono state assai vaste e profonde. Uno dei “territori” dove queste conseguenze sono state più profonde è il mercato del lavoro. Per quanto riguarda le remunerazioni dei lavoratori dipendenti, un’analisi assai approfondita a livello mondiale è contenuta in due recenti pubblicazioni dell’International Labour Office: “Global Wage Report 2020-21. Wages and minimum wages in the time of COVID-19”, pubblicata alla fine del 2020, e “Global Wage Report 2022-2023. The impact of inflation and COVID-19 on wages and purchasing power”.

Il Rapporto ILO 2020-2021 mette in evidenza una tendenza generale alla diminuzione dei salari (nei livelli o nei tassi di crescita) in circa due terzi dei paesi i cui dati sono disponibili a partire dal 2020. Questa tendenza si è manifestata nonostante i massicci interventi dei governi, senza precedenti, adottati per controbilanciare l’impatto della pandemia (e delle misure di prevenzione come i lockdown) sul livello di attività economica e sul mercato del lavoro. Tra questi interventi, i più importanti sono i sussidi temporanei, l’estensione della protezione sociale e il sostegno economico alle imprese. Agli interventi governativi si sono accompagnate le politiche monetarie espansive adottate dalle banche centrali.

Queste politiche, conclude l’ILO, have allowed millions of wage earners to retain all or part of their income. Ciononostante, si evidenzia un effetto regressivo del COVID-19 sui salari, in tal modo confermando le analisi preliminari di Adam-Prassl et al. (2020), Crossley et al. (2021) e Eichorst et al. (2020) sul benessere della popolazione. È assai probabile, prosegue il rapporto, che le conseguenze economiche e sull’occupazione della crisi causata dal COVID-19 si estendano anche nel prossimo futuro.

Più in dettaglio, l’impatto della crisi da COVID-19 sui salari può essere compendiato nei seguenti punti:

  • nei quattro anni precedenti la pandemia da COVID-19 (2016-2019) la crescita globale dei salari è stata compresa nell’intervallo 1,6-2,2%; escludendo la Cina l’intervallo si restringe dallo 0,9% all’1,6%;
  • nella prima metà del 2020, come risultato della crisi dovuta al COVID-19, si è manifestata una tendenza al ribasso dei livelli o dei tassi di crescita in circa due terzi dei paesi per i quali i dati sono disponibili; in altri paesi il salario medio risulta aumentato in modo artificioso come conseguenza della sostanziale perdita di posti di lavoro che ha interessato i lavoratori con salari bassi. Tra questi paesi interessati dall’effetto composizione vi sono il Brasile, il Canada, la Francia, l’Italia e gli Stati Uniti;
  • la diminuzione dei salari ha interessato più le donne che gli uomini, e più i lavoratori con salari bassi rispetto a quelli con salari alti, ad ulteriore conferma dell’effetto regressivo della crisi da COVID-19;
  • nell’ottica di sostenere i redditi dei lavoratori con remunerazioni più basse, molti paesi che adottano il salario minimo hanno pianificato un suo incremento.

Concentrandoci sui paesi avanzati all’interno del G20, il Rapporto mette in luce come negli ultimi venti anni si sia manifestato un gap, particolarmente nei paesi avanzati ad alto reddito, tra incrementi della produttività del lavoro (misurata dal PIL per occupato) e incrementi dei salari (fatti pari a 100 i livelli del 1999, il livello medio dei salari nel 2019 era pari a 115, mentre quello della produttività raggiungeva il 122).  Questa discrasia di carattere distributivo si è riflessa, inevitabilmente, nella riduzione della quota di prodotto interno lordo attribuita al fattore lavoro.

Considerando i paesi europei, il Rapporto mette in evidenza come la perdita complessiva del monte salari (senza considerare le misure compensative) sia stata nel complesso del continente pari al 6,5%. I due effetti che si compongono nel generare questo dato sono l’aumento della disoccupazione e la riduzione del numero di ore lavorate. Esaminando la situazione italiana si mette in luce una riduzione totale del monte salari del 7,6% tra il primo e il secondo semestre del 2020 (l’Italia si posiziona circa a metà della classifica, e va rimarcato che la perdita totale nel nostro paese è stata minore di quanto riscontrato in Francia e nel Regno Unito), dovuta ad una diminuzione dell’1% e a una diminuzione del 6,7% delle ore lavorate. Considerando distintamente uomini e donne, si riscontra una diminuzione del numero di ore lavorate assai più marcata per le donne (-8,1%) che per gli uomini (-5,4%), a causa della forte presenza di lavoratrici donne nei settori più colpiti dalla crisi da COVID-19. Questa disparità risulta ancor più accentuata in Italia, dove la diminuzione delle ore lavorate è stata del 9,7% per le donne e del 6,4% per gli uomini. Si conferma ancora, chiaramente, l’effetto regressivo della crisi provocata dal COVID-19. Secondo le elaborazioni contenute nel Rapporto ILO, si è accresciuta anche, seppur in modo differenziato nelle diverse aree geografiche, la disuguaglianza nella distribuzione dei salari: nei paesi dell’Europa meridionale (in cui è ricompresa l’Italia) la quota del monte salari complessivo di spettanza del 50% con salari più bassi è diminuita dal 26,4% al 21,9%.

Complessivamente emerge una situazione preoccupante, anche se le politiche dei governi hanno impedito un crollo verticale dei diversi sistemi economici. Il Rapporto ILO si conclude con una serie di indicazioni per la politica economica, che riportiamo di seguito:

  • i sussidi salariali potrebbero essere prolungati nella durata per sostenere la ripresa economica;
  • con una crescente diffusione della sotto-occupazione ed alti livelli di disoccupazione un massiccio intervento dello stato può essere necessario per evitare una situazione deflazionistica;
  • nel contesto della crisi COVID-19 è essenziale che politiche salariali adeguate e bilanciate siano realizzate nel breve termine attraverso un forte dialogo sociale.

Il Rapporto 2022-23 mette in evidenza una situazione in cui alle conseguenze a medio termine della crisi provocata dal COVID-19 si è unita una forte crescita dell’inflazione, per cui i salari reali sono diminuiti. La conseguente diminuzione dei consumi e dei risparmi aumenta pertanto in modo significativo la probabilità di recessione.

I principali findings del Rapporto 2022-2023 possono essere così riassunti:

  • a partire dalla seconda metà del 2022, nei paesi ad alto reddito i livelli dell’occupazione hanno recuperato quelli precedenti la crisi pandemica, mentre in quelli a medio e basso reddito si sono attestati a circa il 2% in meno rispetto ai livelli pre-crisi;
  • la principale preoccupazione è rappresentata dalla rapida crescita dell’inflazione a livello mondiale. Nonostante l’irrigidimento della politica monetaria a livello mondiale, l’inflazione globale per il 2022 è stimata all’8,8%, mentre le proiezioni per il 2023 si attestano al 6,5% (IMF 2022);
  • come conseguenza dell’inflazione (e delle conseguenze a medio termine del COVID-19) i salari reali sono diminuiti dello 0,9% a livello globale (-1,4% se escludiamo la Cina). Nei paesi avanzati la diminuzione dei salari reali è stata addirittura del 2,2%, mentre nei paesi in via sviluppo vi è stata una crescita dello 0,8%. Appare evidente che, soprattutto nei paesi avanzati, l’adeguamento dei salari nominali all’inflazione sia stato insufficiente;
  • l’impatto dell’inflazione è più forte per le famiglie a basso reddito, che spendono una quota più alta dei loro redditi in beni e servizi di prima necessità, per i quali si riscontra un aumento dei prezzi più elevato rispetto agli altri beni e servizi;
  • per quanto riguarda i salari nominali, la diminuzione è stata più intensa nei paesi a medio e basso reddito rispetto ai paesi ad alto reddito.

Concentriamoci ora sui paesi del G20. Il Rapporto 2022-23 mette in evidenza che gli unici paesi in cui il salario medio reale nel 2022 è inferiore a quello del 2008 sono l’Italia, il Giappone e il Regno Unito. Particolarmente grave è la situazione dell’Italia, dove la diminuzione è stata ben del 12%. Anche nel 2022 si conferma nei paesi ad alto reddito il disaccoppiamento tra crescita della produttività del lavoro e crescita dei salari reali, a causa sia della brusca diminuzione dei salari reali nella prima metà del 2022, sia dell’aumento della produttività del lavoro. Nel 2022 il gap produttività-salari reali è stato del 12%, il valore più alto a partire dal 2008.

Il quadro che emerge dal Rapporto 2022-2023 è assai severo: l’impatto combinato delle crisi degli ultimi tre anni ha avuto un impatto negativo sui salari reali e, mentre la pandemia COVID-19 si va attenuando, siamo di fronte ad un diffuso processo inflazionistico, ad un rallentamento della crescita economica globale dovuto in parte alla guerra in Ucraina ed una diffusa crisi energetica che produrrà una diminuzione globale dei salari reali. A fronte di queste prospettive così negative, il Rapporto ILO 2022-23 si conclude sottolineando che l’ampio gap che si è prodotto nel corso del tempo tra produttività del lavoro e salari reali costituisce la base materiale per un recupero salariale, che ha i suoi pilastri nell’adeguamento del salario minimo e nella costruzione di condizioni di lavoro decorose.

 

Riferimenti bibliografici

Adam-Prassl, A., Boneva, T., Golin, M., Rath, C., Inequality in the impact of the coronavirus shock: evidence from real time surveys, Journal of Public Economics, 189, 104245, 2020.

Crossley, T.F., Fisher, P., Low, H., The heterogeneous and regressive consequences of COVID-19: Evidence from high quality panel data, Journal of Public Economics, 193, 104334, 2021.

Eichorst, W., Marx, P. Rinne, U., Short Run Labor Market Impacts of Covid-19. Initial Policy Measures and Beyond, IZA Research Report n. 98, IZA-Institute for Labor Economics, Bonn, 2020.

IMF, World Economic Outlook: War Sets Back the Global Recovery, April 2022.

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