Marilene Lorizio – Università degli Studi di Foggia
Antonia Rosa Gurrieri – Università degli Studi di Foggia
Obiettivo del presente lavoro è riflettere sui dati del rapporto annuale Global Connectivity Index. In base a tale rapporto le imprese che non riusciranno ad incorporare nel loro processo produttivo le innovazioni, sono destinate a restare ai margini del mercato, se non ad uscirne.
Pertanto, è ragionevole temere che la rivoluzione tecnologica possa approfondire la disparità tra società ricche e società meno ricche.
La velocità di adozione, riproduzione e nuova innovazione tecnologica ha registrato un’accelerazione negli ultimi anni, alterando le condizioni concorrenziali standard, generando nuovi modelli competitivi e produttivi e ponendo le premesse per un miglioramento del benessere (Lorizio, 2021).
Sebbene l’economia digitale abbia raggiunto negli ultimi 15 anni un tasso di crescita triplo rispetto al PIL mondiale, la discrepanza tra Paesi è sempre maggiore, confermando l’Effetto San Matteo (Viola, 2020), per cui chi riveste le posizioni di testa continuerà a coprirle, mentre chi parte svantaggiato continuerà ad esserlo.
A conferma, i Paesi che hanno investito in modo sistematico e strutturale nelle innovazioni digitali hanno sperimentato una parallela evoluzione nella crescita e nel livello di competitività internazionale.
Laddove, invece, c’è un ridotto investimento tecnologico, si registra un conseguente scarso livello di competenze (digitali) che incidono profondamente sul gap digitale globale. Nel rapporto annuale sull’impatto degli investimenti digitali sulle economie mondiali (Global Connectivity Index), quelle imprese che non riusciranno ad incorporare nel loro processo produttivo le innovazioni, sono destinate a restare ai margini del mercato, se non ad uscirne.
Pertanto, è ragionevole temere che la rivoluzione tecnologica possa approfondire la disparità tra società ricche e società meno ricche. In realtà, più che tra le diverse economie, il rischio sotteso alla diffusione delle nuove tecnologie è interno e trasversale alle singole economie, rappresentato dall’accrescimento delle disuguaglianze tra coloro che, possedendo le competenze necessarie all’utilizzo dell’innovazione digitale, si avvantaggeranno della rivoluzione tecnologica, e coloro che, vittime della medesima rivoluzione, si dovranno interfacciare per competere con robot e algoritmi.
Infatti, le dinamiche legate alle nuove tecnologie hanno determinato una competizione rapida ed accesa tra le varie economie nel controllo ed approvvigionamento dei dati (Big Data) alla base delle nuove tecnologie, in quanto i first coming otterranno un rilevante vantaggio competitivo.
Un Paese o una impresa (Gurrieri e Morelli, 2021) che riesca a conquistare il nuovo accesso tecnologico, che rappresenta la nuova barriera all’ingresso, otterrà un vantaggio competitivo, potendo usufruire di una moltitudine di dati.
Rientra tra le forme di digitalizzazione più diffusa, l’intelligenza artificiale (IA), caratterizzata da consistenti vantaggi di posizione (first-mover advantage).
L’adozione dell’IA nel lungo periodo è un acceleratore dell’espansione del settore tecnologico nazionale, poiché determina un circolo virtuoso che può portare una economia a distanziare rapidamente quelle tecnologicamente arretrate.
In questo contesto, assume una rilevanza primaria la questione relativa al controllo delle architetture digitali, posto che l’attuale modello di innovazione e sviluppo tecnologico non è regolato da una strategia politica pubblica e centralizzata, ma è caratterizzato dal laissez-faire, per cui se il settore dell’intelligenza artificiale risulta insufficientemente controllato le imprese private godono di una ampia autonomia decisionale.
Il GCI colloca l’Italia tra “stelle nascenti”, ossia tra i Paesi con rilevanti prospettive di crescita digitale. Probabilmente questa posizione è anche il risultato di progetti nazionali quali il Piano Industriale 4.0 e la scelta di investire nella tecnologia 5G.
Anche il DESI (l’indice della Commissione europea relativo al livello della digitalizzazione dell’Ue) inserisce l’Italia al 24º posto su 28 paesi nel 2019, anno in cui il giro d’affari della Intelligenza Artificiale corrisponde a circa 200 milioni di euro. In Italia, le tecnologie di Intelligenza Artificiale risultano maggiormente utilizzate nel settore bancario e finanziario (25% del mercato), seguiti dal settore manifatturiero (13%), e da quello assicurativo (12%).
Le evoluzioni delle tecnologie digitali e l’intelligenza artificiale in particolare delineano un panorama futuro denso di trasformazioni profonde, superiori a quelle seguite alle altre rivoluzioni industriali.
Appare perciò quanto mai necessario che, parallelamente all’applicazione delle nuove tecnologie, si proceda anche ad una contestuale applicazione di una nuova e diversa disciplina tesa ad evitare fenomeni prevaricativi e una corretta distribuzione di opportunità, ricchezze e tutele.
Riferimenti bibliografici
Gurrieri A.R. e Morelli G. (2021). L’imprenditore digitale, in Gurrieri (ed), La digitalizzazione delle imprese. Nuove prospettive nell’era di Industria 4.0, Giappichelli, Torino, 59-80.
Lorizio M. (2021). La Quarta Rivoluzione Industriale in Italia, in Gurrieri (ed), La digitalizzazione delle imprese. Nuove prospettive nell’era di Industria 4.0, Giappichelli, Torino, 1-26.
Viola M. (2020). La scienza dei premi Nobel per le scienze, Quaderni di Sociologia, 82-LXIV, 83-93