Danilo Mario Piteo – Università degli Studi di Foggia
Anche dinanzi alla pandemia da COVID19 l’Italia si presenta fortemente eterogena. Dopo molte polemiche sulla attendibilità dei dati forniti quotidianamente dalla protezione civile, grazie alla collaborazione fra ISTAT ed ISS è oggi possibile avere un quadro più chiaro sul numero di decessi attribuibili in modo diretto o indiretto al corona virus.
Vi sono alcune province che hanno pagato un prezzo altissimo registrando notevoli incrementi percentuali di decessi, nel mese di marzo 2020, rispetto al marzo 2015-2019. La provincia più colpita è Bergamo (568%), seguita da Cremona (391%), da Lodi (371%), da Brescia (291%), da Piacenza (264%) e da Parma (208%).
Al contrario in altre province si è assistito ad un calo consistente dei decessi, connesso al fatto che il lockdown ha ridotto il numero di incidenti stradali e sul lavoro. Basti pensare che a Matera il calo è stato pari a -11,3% mentre a Roma è stato del -9,4 %, e a Palermo del -9,2%.
Secondo il rapporto IMPATTO DELL’EPIDEMIA COVID-19 SULLA MORTALITÀ TOTALE DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE PRIMO TRIMESTRE 2020, la media dei decessi nel periodo tra il 2015-2019, si attestava a 65.592. Nel 2020, la media è passata a 90.946. Si tratta di un eccesso di 25.354 unità, di cui il 54% rappresenta le morti causate dal covid-19, cioè 13.710 persone. Quindi ci sono ben 11.600 decessi per i quali possiamo soltanto ipotizzare tre possibili cause: una ulteriore mortalità associata a Covid-19 (decessi in cui non è stato eseguito il tampone), una mortalità indiretta correlata a Covid-19 (decessi da disfunzioni di organi probabili conseguenze della malattia scatenata dal virus) e, infine, una quota di mortalità indiretta non correlata al virus ma causata dalla crisi del sistema ospedaliero e dal timore di recarsi in ospedale nelle aree maggiormente affette.
La stragrande maggioranza dei decessi, cioè l′89%, si concentra nelle provincie “a diffusione alta”. Quindi vista l’impossibilità di verificare tutti i decessi l’indicatore più affidabile è proprio l’eccesso rispetto al numero di decessi abituali. Appena l′8% delle morti da coronavirus sono avvenute nelle zone a “diffusione media”, mentre il 3% in quelle con la diffusione più bassa.
Al esempio in alcune zone del Centrosud si sono registrate meno morti rispetto alla media dei giorni scorsi. Secondo i dati dell’Istat e dell’Iss, i decessi nel mese di marzo sono mediamente inferiori dell′1,8% rispetto al periodo 2015-2019.
La mortalità maschile è sicuramente maggiore rispetto a quella femminile. Le differenze sono significative anche rispetto alle classi di età. L’evoluzione giornaliera degli scostamenti dei decessi cumulati del 2020 dalla corrispondente media 2015-2019 mostra chiaramente come la crescita dei decessi si sia innescata tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo. Durante il mese di marzo nelle aree più interessate dall’epidemia il numero di morti inizia rapidamente ad aumentare rispetto alla media 2015-2019 dello stesso periodo.
Nelle province ad alta diffusione del virus si nota che scomponendo l’eccesso di mortalità per classi di età, si osserva come all’aumentare di quest’ultima il contributo del Covid-19 alla spiegazione dell’eccesso di mortalità decresca, passando dal 78,5% dell’eccesso nella classe 50-59, al 24% in quella 90 e più. Tale distribuzione non è però omogenea se si considerano distintamente i due generi.
Considerando i decessi maschili, si passa dall’82,5% dell’eccesso nella classe 50-59 al 30,4 % nella classe 90 e più. Per quanto riguarda il genere femminile, la classe in cui il contributo dei decessi Covid-19 è più alto, pari al 89%, è quella 60-69 anni mentre si scende al 42% nella classe 80-89 e al 20% in quella di 90 anni e oltre.
Il rapporto fornisce una gran quantità di informazioni utili per capire il livello di diffusione del virus, infatti, la conoscenza dell’avversario è un punto di partenza importante per sconfiggerlo.